Parole: ovale, strumenti, bollitore, principe, cereali. I suoi piedi affondavano, ad ogni passo sempre più, in quella melma gelida. Aveva piovuto da poco e le strade dei bassifondi di Jeran erano state coperte da una coltre nebbiosa, ingrigite dal gelo invernale. Aveva contato almeno una ventina di affamati lamentarsi per le strade. Per disperazione, alcuni offrivano in cambio di soldi i loro stessi figli, nanerottoli sporchi di terra e puzzolenti come capre. Le meretrici erano pronte ad agguantarti a ogni angolo buio. La fame aveva reso i ladruncoli più furbi e più veloci. Gli assassini più spietati. Aveva temuto più volte per la sua vita in quegli anni d’inferno. La città era diventata ingestibile e nelle campagne ormai non cresceva niente. Nell’ultimo mese, ogni giorno era morto qualche suo conoscente. Le ragioni erano sempre le stesse: stenti, malattia, qualche volta un furto andato male. “Fame. Una parola che il principe sicuramente non conosce” pensò. Covava dentro di sé tanta rabbia che ormai l’unica cosa che gli permetteva di trattenersi era il pensiero della vendetta. Da quando quell’essere immondo aveva sostituito il vecchio re malato, il regno di Jeran stava subendo le conseguenze della sua inettitudine e immoralità. Corrucciato, varcò la soglia della “Locanda di Faggio” e prese posto ad un tavolo quasi invisibile, appena dietro al fondo del bancone. Così gli avevano detto di fare. La locanda era deserta. Attese per pochi minuti prima che Annie, la cameriera, si avvicinasse a lui. Aveva un viso molto bello: lineamenti morbidi, zigomi arrotondati e coperti da chiare lentiggini, due piccole fossette ai lati della bocca, il tutto incorniciato da morbidi capelli paglierini. Per quel che ricordava, aveva iniziato a frequentare quel locale da giovane e gli era bastato vederla una volta sola per rimanerne fulminato. Non era mai riuscito a parlarle, tanto meno a rivelarle ciò che provava.
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