Penelope la trascinò fino alla bottega, che era molto più vicina rispetto a casa sua. Spostarono la madia e il tavolo davanti alla porta per barricarsi. Chiusero le finestre a chiave e le bloccarono con un’asse di legno.
«È tutto chiuso?» la donna era visibilmente nervosa.
La maghetta annuì.
Gunnie, che nella corsa era stato costretto a prendere il volo, si appollaiò sul tavolo degli attrezzi. Le sue piume erano tutte arruffate. Bubbolò sommessamente, sembrava spaventato anche lui. Non ebbero nemmeno il coraggio di accendere le luci, per paura che da fuori qualcuno, o qualcosa, si accorgesse che erano nascoste lì dentro.
«Che cosa sta succedendo?» le chiese Gunniver.
Maggie non rispose. Era troppo impegnata ad ascoltare ciò che avveniva all’esterno della bottega.
Aspettarono mezz’ora là dentro. Il frastuono dopo un po’ cessò. Avevano l’impressione che qualcun altro fosse già uscito di casa.
«Forse ce l’hanno fatta. Esco a controllare» propose Penelope.
Maggie ebbe una brutta sensazione, non credeva fosse la scelta più saggia in quel momento, ma era così terrorizzata da non riuscire a parlare.
Era da anni ormai che non si facevano vedere. Era abituata ad ascoltare, subire forse è più corretto, il suono dei petardi durante i festeggiamenti. Non lo identificava più come un evento allarmante, per quanto fastidioso.
L’ultima volta che avevano cercato di entrare in paese, riuscendoci quasi, fu quando era piccola. Sette, otto anni forse, non ricordava. Ciò che l’era rimasto impresso era il momento in cui una grossa nuvola nera, dalla forma incerta, superò la barriera di fuoco scaraventando a terra i guardiani. Lei era a scuola e, mentre tutti i suoi compagni si nascondevano sotto i banchi tremanti di paura, si era messa a sbirciare dalla finestra. Vide la nebbia nera che si avvicinava pericolosamente al cortile della scuola, poteva quasi percepire l’odio che secerneva. Quell’essere prese gradualmente forma e Maggie riuscì a distinguere delle forme zoomorfe: comparvero due ali tanto grandi da oscurare il cielo in pieno giorno, poi spuntò un becco rapace su un lungo collo, da questo fu emesso un verso stridulo e spaventoso. Aveva un aspetto famigliare e non capiva perché. La maghetta rimase incantata da quell'orrendo spettacolo finché la maestra non le si avvicinò per abbassarle la testa a forza, dicendole di stare giù. Subito dopo ci fu una forte esplosione.
Erano i pochi ricordi del suo primo incontro con i dimenticati. Non sapeva nemmeno perché tutti li chiamassero in quel modo. “Perché dimenticati, chi li ha dimenticati?” si chiedeva sempre. Nemmeno a scuola le avevano mai spiegato che cosa fossero, sapevano solo qual era il modo migliore per tenerli lontani dalla città: il fuoco e i petardi, che riuscivano a farli indietreggiare. Non si sapeva nemmeno perché tenessero, ormai da decenni, sotto scacco Arna. Maggie non ricordava di essere mai uscita e di aver conosciuto altre realtà che non fossero entro le mura. Erano in pochi coraggiosi a uscire e in genere lo si faceva per brevi periodi, giusto il tempo di procurarsi i beni di prima necessità. La gente aveva paura di uscire. Nel lasso di tempo in cui gli attacchi erano cessati la cittadina era fiorita, le persone si sentivano più sicure a uscire. Alcuni si erano addirittura trasferiti all'esterno. Maggie aveva iniziato a passeggiare tranquillamente per i boschi, senza porsi troppi problemi.
Quei pensieri l’attanagliavano finché si rese conto che era rimasta sola nella bottega.
La voce di Penelope la raggiunse presto da fuori. «È tutto a posto, puoi uscire!».
La giovane prese coraggio e abbandonò il suo riparo, insieme a un Gunniver che aveva perso la parola. Strano per un gufo chiacchierone e saccente come lui.
«Cosa è successo?» chiese Maggie, nonostante conoscesse già la risposta.
«I dimenticati. Sembra abbiano provato a entrare. Era da una decina d’anni che non si vedevano, forse di più… Accidenti, devo andare a controllare come stanno Robin e i miei piccoli. Vuoi che ti accompagni a casa?» le chiese cordialmente, anche se era ovvio che avrebbe preferito andare a controllare i suoi nipoti.
«No, va bene. Ce la posso fare anche da sola. Casa mia è interna alle mura, per fortuna».
La cinta muraria del paesino era stata costruita molti anni addietro, probabilmente prima della sua nascita, o forse quando era ancora così piccola da non ricordarsene nemmeno.
Maggie si avviò verso casa, quando lo vide di nuovo. Il ragazzino la fissava da dietro l’angolo di un edificio, sorrise e scomparve in un baleno.
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